CREEPYPASTA – Il Respiro Silenzioso

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La nebbia quella sera era così fitta che sembrava avvolgere l’auto elettrica di Marco in un sudario grigio. Era quasi mezzanotte e la strada di campagna verso il casolare dei suoi genitori era un nastro d’asfalto buio e desolato. Marco amava il silenzio della sua auto, il fruscio appena percettibile degli pneumatici sull’asfalto, l’assenza totale di vibrazioni. Un contrasto rassicurante con il frastuono assordante della città.

Ma stasera, quel silenzio era diverso. Opprimente.

Il cruscotto digitale brillava di un azzurro freddo, l’autonomia stimata scendeva lentamente, ogni tanto un brivido freddo percorreva la schiena di Marco, nonostante l’abitacolo fosse riscaldato. Le luci dei fari sembravano tagliate a fatica dalla densità lattiginosa della nebbia, rendendo visibili solo pochi metri davanti a lui. All’improvviso, un avviso acustico: “Batteria al 5%. Ricarica necessaria.

Marco imprecò sottovoce. Aveva calcolato male, distratto dalla giornata di lavoro e dalla fretta di tornare a casa. Certo, a casa aveva la sua piattaforma di ricarica wireless AetherCharge, ma era lì, a dieci chilometri di distanza. La colonnina pubblica più vicina era ancora più lontana, e a quella velocità ridotta, con quella visibilità, gli sembrava un’eternità.

L’auto rallentò, quasi con un sospiro. Le luci si affievolirono leggermente. Marco sentì il cuore accelerare. Premette il piede sull’acceleratore, ma la risposta fu flebile, quasi inesistente.

“Forza, piccola,” sussurrò, come se l’auto potesse ascoltarlo.

Fu allora che la vide. Una figura indistinta sul bordo della strada, un’ombra alta e sottile che sembrava emergere direttamente dalla nebbia. Marco frenò bruscamente, l’auto si fermò con un sibilo quasi impercettibile. Il suo cuore martellava. Non c’era un’anima in giro, solo la nebbia e il silenzio tombale.

La figura non si mosse. Rimase immobile, un nero profondo contro il grigio della nebbia. Marco si sforzò di distinguere i dettagli, ma non riuscì a mettere a fuoco nulla. Sembrava… troppo alta. O forse era la nebbia a distorcere la sua percezione.

Decise di non scendere. Non era così stupido. Accese gli abbaglianti, sperando di spaventare via qualsiasi cosa fosse. Le luci tagliarono la nebbia per un istante, illuminando la figura. Era un uomo, o almeno, sembrava un uomo. Indossava un lungo cappotto scuro e un cappello a tesa larga che gli nascondeva il viso.

Ciò che colpì Marco fu il modo in cui stava in piedi. Troppo fermo. Troppo… silenzioso.

Un altro avviso sonoro sul cruscotto: “Batteria all’1%. Modalità di sicurezza attivata.

L’auto tossì metaforicamente. Le luci si spensero quasi del tutto, lasciando Marco immerso in un’oscurità quasi totale, interrotta solo dalle spie fioche sul cruscotto e dalla luce tenue della nebbia. Il silenzio si fece ancora più profondo, interrotto solo dal suo respiro affannoso.

E poi, lo sentì.

Un graffio. Leggero, quasi impercettibile, ma chiaramente udibile nel silenzio assoluto dell’abitacolo. Veniva da fuori. Sembrava strisciare sulla carrozzeria dell’auto.

Marco si voltò di scatto verso il finestrino laterale. Non vide nulla. Solo la nebbia che premeva contro il vetro. Il graffio si fece più forte, più insistente. Sembrava che qualcosa stesse tracciando una linea lungo il fianco del veicolo.

Un colpo. Sordo, come un pugno sulla lamiera. Poi un altro. E un altro. Sempre più vicini, sempre più rapidi. Sembrava che qualcosa stesse correndo intorno all’auto, colpendola in punti diversi.

Marco strinse il volante, le nocche bianche. Non poteva accendere il motore, non poteva muoversi. Era in trappola.

I colpi si fermarono improvvisamente. Il silenzio tornò, più pesante di prima. Marco trattenne il respiro, le orecchie tese, il cuore che batteva come un tamburo nel petto.

Un suono. Questa volta, diverso. Un click. Poi un altro. Sembrava provenire dal tetto dell’auto.

Con orrore, Marco si rese conto. Il click non era un colpo. Era il suono delle dita. Qualcosa si stava muovendo sul tetto, qualcosa di pesante.

Un’ombra si mosse sul parabrezza, scivolando lentamente da sinistra a destra. Era grande, deforme. Marco non riuscì a distinguerla, ma sentiva la sua presenza, la sua vicinanza. Sentiva il proprio battito cardiaco riecheggiare nelle orecchie.

L’ombra si fermò al centro del parabrezza. Marco alzò lo sguardo, gli occhi spalancati nel buio. E poi, il viso.

Apparve all’improvviso, premuto contro il vetro. Non era un viso umano. Era pallido, ceroso, senza occhi, solo due cavità nere e vuote. La bocca era spalancata in un sorriso innaturale, mostrando file di denti aguzzi e neri.

Marco urlò, un suono strozzato che morì nella sua gola. Cercò di tirarsi indietro, ma era bloccato dal sedile.

Il viso rimase lì, premuto contro il vetro, il sorriso mostruoso. E poi, iniziò a parlare. Non con la voce, ma con un suono stridulo, un ronzio vibrante che sembrava provenire dalle stesse pareti dell’auto.

“Il silenzio… mi piace il silenzio…”

Il ronzio si intensificò, come un gigantesco insetto intrappolato nell’abitacolo. Marco sentiva il cervello pulsare, il dolore acuto nelle tempie.

“Non c’è carburante… non puoi scappare… il silenzio… è il mio respiro…”

Il ronzio divenne insopportabile. Marco sentì la vista annebbiarsi, il mondo girare. La paura lo avvolse come un sudario di ghiaccio.

L’ultima cosa che vide prima di perdere conoscenza fu il sorriso senza occhi sul parabrezza, e l’ultima cosa che sentì fu il ronzio, il respiro silenzioso della creatura, che riempiva l’abitacolo della sua auto spenta, immersa nel cuore della nebbia.

Giuseppe Gallo

Giuseppe Gallo

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