Il fango inghiottiva gli stivali fino alle caviglie, un sudario melmoso che avvolgeva ogni cosa. L’odore acre di polvere da sparo e carne bruciata era una costante, un profumo di morte che impregava l’aria gelida. La Quarta Compagnia era stata bloccata in quella trincea per giorni, sotto un cielo plumbeo che sembrava piangere incessantemente. Il fronte orientale era un inferno ghiacciato, ma l’orrore che attanagliava il caporale Andrei non veniva dalle granate o dai proiettili.
Era iniziato con i sussurri. All’inizio, un fruscio appena percettibile nel vento ululante, poi voci sommesse, frammenti di preghiere in lingue sconosciute, lamenti lontani. I commilitoni, esausti e al limite, li attribuivano alla stanchezza, al gelo che si insinuava nelle ossa, alla follia incipiente. Ma Andrei sapeva che non era così. Le voci provenivano dal terreno, dal fango stesso che li circondava, come se la terra fosse diventata un cimitero vivente, i suoi occupanti incapaci di tacere.
La seconda notte, la figura. Appariva e svaniva nel buio pesto, un’ombra indistinta, più alta di qualsiasi uomo, con occhi che brillavano come braci ardenti nella nebbia. Non si muoveva, semplicemente era. Restava immobile, a fissare la trincea, e ogni volta che la vedeva, un freddo innaturale gli stringeva il petto, più pungente del gelo siberiano. Non era un soldato nemico, non era una visione. Era qualcos’altro.
“Hai visto, Andrei?” bisbigliò Volkov, il suo viso scavato dalla paura, le dita tremanti mentre accendeva una sigaretta. “L’ombra… è tornata.”
Andrei annuì, il cuore che batteva forte contro le costole. “Sì.”
Non c’era bisogno di specificare. Tutti nella Quarta Compagnia l’avevano vista, o sentito la sua presenza. La paura aveva unito quegli uomini più di quanto avesse fatto la disciplina militare. La morte, per loro, era diventata un concetto secondario. Ciò che li terrorizzava era l’ignoto che si manifestava in quella trincea.
La terza notte, i corpi cominciarono a scomparire. Non vittime di cecchini, non catturati dai nemici. Semplicemente svaniti. Il primo fu il giovane Dmitri, sparito dal suo posto di guardia senza lasciare traccia, solo un fucile caduto nel fango. Poi fu il turno di Sergei. La Quarta Compagnia si stava riducendo, non per mano del nemico visibile, ma per mano di qualcosa che si muoveva nell’oscurità, senza rumore, senza un’ombra percepibile.
Andrei, un uomo di fede modesta, iniziò a pregare. Pregava per la salvezza, per la fine, per qualsiasi cosa che potesse scacciare quell’orrore. Ma le preghiere sembravano solo alimentare i sussurri, rendendoli più chiari, più vicini.
Una notte, mentre il vento ululava con la forza di un demone, la figura apparve di nuovo, più vicina che mai. Non era solo un’ombra. Era un ammasso contorto di arti e volti, come se innumerevoli corpi di soldati, amici e nemici, fossero stati fusi insieme in un’unica, mostruosa entità. I volti, orribilmente sfigurati e bloccati in un’agonia silenziosa, sembravano guardarlo. E i sussurri… ora erano un coro di voci, un lamento collettivo che gridava nomi. I nomi dei caduti.
“Andrei!”
Il suo nome gli lacerò i timpani, proveniente direttamente dalla figura. Era la voce di suo fratello minore, caduto in una battaglia precedente.
Il terrore paralizzò Andrei. Capì. Quella cosa non era una visione, né un demone. Era ciò che restava della guerra stessa, l’anima di tutti i morti, un’entità nata dal dolore, dalla disperazione e dal sangue versato. Era la personificazione della morte che non trovava pace, che reclamava ancora.
La figura si mosse, un passo lento e strascicato nel fango, e il terreno sembrò gemere. Le innumerevoli facce su di essa si voltarono verso di lui, i loro occhi vuoti che lo fissavano. Era un abisso di disperazione e fame inumana.
Andrei si affrettò a caricare il fucile, le mani tremanti, ma sapeva che non sarebbe servito a nulla. Non si può uccidere ciò che è già morto, ciò che è la morte stessa. La trincea, la loro presunta salvezza, era diventata la loro tomba, e l’orrore che si era risvegliato era venuto a reclamare gli ultimi sopravvissuti.
Mentre la figura gli si avvicinava, l’ultimo suono che udì, prima che il buio lo inghiottisse, non fu lo sparo di un fucile o il fragore di un’esplosione. Fu un coro di voci disperate, quelle dei suoi commilitoni scomparsi, che lo chiamavano, trascinandolo nell’oblio che era la trincea maledetta. La guerra aveva solo rivelato la vera natura dell’orrore, che era sempre stato lì, in attesa di essere risvegliato.