La notte di Taranto. La “Pearl Harbor” italiana

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Ottant’anni fa, in piena seconda guerra mondiale, nella notte tra l’11 e il 12 novembre 1940, il porto di Taranto fu vittima di un attacco devastante da parte della Royal Navy britannica. Un colpo durissimo per la Regia Marina Italiana, simile al famoso attacco giapponese contro la base statunitense di “Pearl Harbor”, avvenuto nell’anno successivo. Cosa successe quella notte nel porto di Taranto?

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Il 10 giugno 1940, affacciandosi al balcone di Palazzo Venezia, il Duce Benito Mussolini annunciò l’entrata in guerra dell’Italia al fianco dei tedeschi. Un impresa “eroica” che da quel giorno avrebbe coinvolto migliaia di combattenti “di terra, dell’aria e del mare”.

Questi ultimi trovavano in Taranto, la Città dei Due Mari, una delle basi navali più attrezzate, nelle quali le navi che arrivavano dal Mar Grande attraversavano l’iconico Ponte Girevole ed entravano nel Mar Piccolo, dove i validi operai dell’arsenale si occupavano della loro manutenzione e del rifornimento di pezzi di ricambio per armi e macchinari. 

Ponte di San Francesco di Paola - WikiwandPonte Girevole

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L’importante apparato tecnico dell’arsenale era però dotato di scarse batterie contraeree e di poche reti anti-siluro per la protezione delle navi all’interno del porto. La notte, poi, il porto era molto esposto ad attacchi aerei, visto l’utilizzo di vecchi proiettori di scarsa portata e l’assenza di radar che potessero rilevare il pericolo.  

Quando nell’ottobre del ’40 l’Italia attaccò la Grecia, il porto di Taranto divenne un avamposto fondamentale per il controllo della Regia Marina nel Mediterraneo centrale, un vero e proprio ostacolo per i convogli marittimi della Royal Navy britannica, alleati dei greci, che avevano la loro base sull’isola di Malta.

Il pericolo per gli inglesi era molto alto, soprattutto perché la Regia Marina italiana possedeva alcune delle navi da guerra più potenti di quel periodo, che potevano affondare facilmente le navi da guerra britanniche.

Per scongiurare la disfatta, l’ammiraglio Cunningham, Comandante in Capo della Mediterranean Fleet britannica, organizzò l’operazione “Judgement”: un attacco notturno con aerosiluranti, rischioso nella fattibilità e molto legato al fattore sorpresa. 

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L’operazione ebbe inizio il 6 novembre 1940, con la preliminare “Operazione MB 8”, dove la Mediterranean Fleet (composta dalla portaerei Illustrious; dalle navi da battaglia Valiant, Malaya, Warspite e Ramilies; da 13 cacciatorpediniere e dagli incrociatori Gloucester e York) salpò da Alessandria d’Egitto per raggiungere la portaerei Eagle, a Malta, il 10 novembre. Uno spostamento rischioso che aveva messo in allarme la Marina italiana, che concentrò a Taranto la maggior parte della propria forza navale e inviò in ricognizione alcuni aerei, che si univano alle unità di sommergibili, cacciatorpediniere e torpediniere appostati nel Canale di Sicilia.  

L’11 novembre, alle ore 20:00, la portaerei Illustrious raggiunse il punto prefissato per l’operazione “Judgement”. Un orario scelto per ridurre al minimo gli attacchi di forze di superficie, temuti più degli aerei da ricognizione italiani che, invece, durante tutto il tragitto non riuscirono mai ad avvicinarsi alla flotta britannica poiché ostacolati dai caccia della Fleet Air Arm.  

Dalle ricognizioni effettuate dagli aerei britannici sul porto di Taranto, era emerso che nelle due rade del porto di Taranto si trovavano gli incrociatori pesanti Gorizia, Bolzano, Trento, Fiume, Trieste, Pola e Zara; diversi cacciatorpediniere e gli  incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi. “Ciliegina sulla torta” erano le temibili corazzate Caio Duilio, Giulio Cesare, Andrea Doria, Vittorio Veneto, Littorio e Conte di Cavour.

Le navi erano protette da poche reti parasiluri, distese per soli 10 metri sotto il livello del mare e con uno spazio non protetto tra rete e fondale, sistemate a distanza dalle navi per permettere loro di salpare senza rimuovere le protezioni.

A difesa del porto vi dovevano essere 87 palloni di sbarramento, ma 60 erano stati danneggiati dalle cattive condizioni climatiche dei giorni precedenti, e non potevano essere rimpiazzati per la mancanza di idrogeno.   

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Alle 20:30 dell’11 novembre, i primi dodici aerei decollano dalla portaerei Illustrious, raggiungendo il porto di Taranto poco prima delle ore 23:00.

Aerosilurante Fairey Swordfish

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Nel mezzo del fuoco di sbarramento due aerei inglesi lanciarono i bengala sulla sponda orientale del Mar Grande per illuminare i profili dei bersagli, mentre sei aerosiluranti Fairey Swordfish andarono all’attacco. Uno di essi fu abbattuto, un altro, con un siluro, squarciò la fiancata sinistra della corazzata Conte di Cavour, altri due Swordfish tentarono di affondare senza successo l’Andrea Doria.

Corazzata Conte di Cavour

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Nel frattempo quattro aerosiluranti, armati con bombe, danneggiarono i cacciatorpediniere Libeccio e Pessagno, bombardarono i depositi di carburante e distrussero due idrovolanti. Alle 23:15 altri due aerosiluranti colpirono a dritta e a sinistra la corazzata Littorio, mentre l’ultimo Swordfish sganciò un siluro contro la nave da battaglia Vittorio Veneto, senza colpirla.

Alle 23:20 ci fu il ritiro degli aerei della prima ondata, mentre alle 23:30 arrivarono gli aerei della seconda ondata. Nel mezzo del fuoco di sbarramento, un primo Swordfish sganciò un siluro che colpì a dritta il Caio Duilio, e altri due aerosiluranti colpirono ancora la corazzata Littorio. Un altro aereo mirò nuovamente senza successo alla nave da battaglia Vittorio Veneto, mentre uno Swordfish venne abbattuto nel tentativo di attaccare la nave Gorizia.

Corazzata Duilio

Corazzata Littorio

Aerei e aerosiluranti inglesi si lanciarono in un ultimo attacco sul porto di Taranto, danneggiando l’incrociatore Trento, per poi ritirarsi alle ore 0:30 del 12 novembre.

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In un bombardamento di 90 minuti la Royal Navy inglese aveva messo fuori combattimento gran parte della flotta navale della Regia Marina italiana, con sei navi da guerra danneggiate e diversi danni alle installazioni terrestri. Quella che sarà ricordata come “Notte di Taranto” causò poi 58 morti e 581 feriti. 

Il bollettino di guerra del Comando Supremo redatto il 12 novembre 1940 era ottimista, indicando come la difesa contraerea della piazza e delle navi alla fonda avesse reagito “vigorosamente” all’attacco inglese, uscendo dalla vicenda senza vittime e con solo un’unità navale gravemente colpita. Anche Mussolini sembrò affrontare la situazione con ottimismo, per poi “ammettere” man mano che la verità veniva a galla, che “solo tre” navi fossero state colpite, senza affondare. 

La Notte di Taranto, che come attacco può essere assimilabile a grandi linee a quello su larga scala di Pearl Harbor, segnò un punto di svolta importante per gli Alleati in quel primo anno di guerra, e cominciò a mostrare anche i limiti di un comparto militare che, per colpa di un governo affamato di gloria, pagava la colpa di un’entrata in guerra piuttosto avventata.

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Giuseppe Gallo

Giuseppe Gallo

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