CREEPYPASTA – Il Disco Maledetto

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Il vecchio grammofono troneggiava nell’angolo buio della soffitta, un monolite polveroso di un’epoca dimenticata. Elena e Marco, incuriositi dai racconti della nonna, lo avevano trascinato giù, sperando di trovare qualche vecchio disco interessante. Tra la pila di 78 giri scovarono una busta anonima, senza titolo né autore. All’interno, un disco nero, lucido, con un’unica spirale incisa che sembrava pulsare nell’ombra.

Ignorando un vago senso di inquietudine, Elena lo posizionò sul piatto del grammofono e diede la carica. Un fruscioStatico riempì la stanza, poi, lentamente, emerse una melodia. Non era una canzone allegra o spensierata. Era un lamento sottile, quasi un pianto, intessuto di note dissonanti che si insinuavano sotto la pelle.

Mentre il suono si faceva più intenso, la temperatura nella stanza sembrò calare bruscamente. Ombre danzavano negli angoli, allungandosi e contorcendosi come se avessero una vita propria. Marco si sentì un nodo stringergli la gola, un’oppressione inspiegabile sul petto. Elena, pur sentendo un brivido correrle lungo la schiena, era stranamente attratta da quella musica sinistra.

Il lamento si trasformò in un sussurro, parole indistinte che sembravano provenire da un luogo lontano, carico di dolore e disperazione. Le luci tremolarono e un vento gelido si fece sentire, nonostante le finestre fossero chiuse. Un odore acre, di terra umida e muffa, invase la stanza.

All’improvviso, il sussurro divenne un urlo straziante, un grido di terrore che sembrava perforare i timpani. Marco si tappò le orecchie, ma il suono lo penetrava, vibrando nelle ossa. Elena, con gli occhi sbarrati, fissava il grammofono come se fosse posseduto.

Poi, una voce. Una voce roca, gutturale, che sembrava emergere direttamente dal disco, riempì la stanza. Non capivano le parole, ma l’intenzione era chiara: era un canto di morte, una maledizione sussurrata nell’oscurità.

Oggetti nella stanza iniziarono a tremare. Un vecchio specchio appeso al muro si incrinò con un suono secco. Le ombre si fecero più dense, prendendo forme vaghe, minacciose. Marco sentì una presenza gelida alle sue spalle, un soffio freddo sul collo.

Terrorizzato, si lanciò sul grammofono, cercando di fermare quella musica infernale. Ma le sue mani sembravano attraversare l’aria, come se il disco non fosse più lì. Elena, in trance, allungò una mano verso il grammofono, un sorriso spento sulle labbra.

Il canto si fece più forte, più vicino. Marco vide gli occhi di Elena roteare, il suo corpo irrigidirsi. Una forza invisibile la stava attirando verso quella fonte di suono maledetta.

Con un ultimo sforzo disperato, Marco afferrò un vecchio libro dalla scaffalatura e lo scagliò contro il grammofono. L’impatto ruppe il braccio meccanico e la puntina saltò via dal disco, producendo un graffio acuto che lacerò il silenzio improvviso.

Il vento cessò. Le ombre si ritirarono. La temperatura tornò normale. Elena crollò a terra, priva di sensi. Il disco nero giaceva immobile sul piatto, la sua spirale silenziosa.

Non suonarono mai più quel disco. Lo rinchiusero in una scatola di ferro e lo nascosero di nuovo nella soffitta, sperando di aver sigillato per sempre quella musica che aveva sfiorato l’orrore. Ma a volte, nelle notti di tempesta, giuravano di sentire un lamento lontano, un’eco sottile che proveniva dal buio, ricordando loro la melodia che aveva quasi rubato le loro anime.

Giuseppe Gallo

Giuseppe Gallo

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