Il vento ululava come un branco di lupi affamati, strappando gemiti gelidi alla tenda ancorata a fatica sul fianco del Monte Silente. Marco si raggomitolò nel sacco a pelo, il nylon sottile che lo separava dal vuoto nero e dalla furia della tempesta. Fuori, la neve cadeva fitta, un sudario bianco che inghiottiva ogni suono, ogni riferimento.
“Tutto bene?” La voce di Luca, roca e tesa, ruppe il silenzio ovattato.
“Sì, credo.” Marco cercò di mascherare la crescente inquietudine che gli serrava lo stomaco. Da quando avevano superato il terzo campo base, un’ombra sottile sembrava essersi insinuata nella loro spedizione. Non era solo il freddo, o la rarefazione dell’aria. C’era qualcosa di più, qualcosa di sfuggente e sinistro.
Era iniziato con i suoni. Sospiri leggeri portati dal vento, come se qualcuno, o qualcosa, ansimasse proprio dietro di loro. Poi le orme nella neve, troppo grandi, troppo distanziate per essere di un essere umano, che apparivano al mattino per poi svanire senza una logica.
La notte precedente, Luca aveva giurato di aver visto una figura alta e scura stagliarsi contro il cielo stellato per un istante, prima di dissolversi nella nebbia. Marco aveva liquidato la cosa come un’illusione ottica, frutto della stanchezza e dell’altitudine. Ma ora, sentiva anche lui una presenza, un occhio invisibile che li osservava dal cuore della montagna.
Un colpo secco contro la parete della tenda li fece sobbalzare. Non era il vento. Era un suono distinto, quasi… un colpo di nocche. Si scambiarono un’occhiata carica di terrore.
“Cos’è stato?” sussurrò Luca, la voce un filo.
Marco scosse la testa, il cuore che gli batteva furiosamente nel petto. “Non lo so.”
Il colpo si ripeté, più forte, seguito da un altro e poi un altro ancora, come se qualcosa di enorme stesse tastando la fragile tela della loro protezione. La paura si fece tangibile, un gelo più intenso di quello esterno.
Luca afferrò la piccozza, le mani che tremavano. “Forse è un animale… un orso?”
Marco dubitava che un orso potesse trovarsi a quella quota, in piena tempesta. Ma l’alternativa era peggiore, infinitamente peggiore.
Il rumore cessò improvvisamente, lasciando spazio al solo ululato del vento. Tirarono un sospiro di sollievo, ma la tensione non si allentò. Sapevano che qualcosa non andava, che la montagna non li voleva lì.
La mattina dopo, la tempesta si placò, rivelando un paesaggio spettrale di neve immacolata. Le orme misteriose erano scomparse, cancellate dalla tormenta. Ma c’era qualcosa di nuovo.
In un punto non lontano dalla tenda, incisi profondamente nel ghiaccio, c’erano dei simboli. Non assomigliavano a niente che avessero mai visto, una serie di linee spezzate e cerchi concentrici che sembravano pulsare di un’energia oscura.
Mentre Luca li fotografava con il cellulare, Marco sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Un suono leggero, quasi un sussurro, gli giunse alle orecchie. Si voltò di scatto, ma non vide nulla.
“Hai sentito qualcosa?” chiese a Luca, la voce incerta.
Luca scosse la testa, concentrato sullo schermo del telefono. “Solo il vento.”
Ma Marco sapeva di aver sentito qualcosa. Una voce flebile, antica, che sembrava provenire dalle viscere stesse della montagna.
Continuarono la salita, ma il senso di oppressione non li abbandonò. Ogni ombra sembrava nascondere una presenza, ogni crepaccio sussurrava segreti inquietanti. La loro attrezzatura cominciò a funzionare male, la radio gracchiava senza emettere alcun segnale, la bussola impazziva.
Poi, accadde. Stavano attraversando una cresta sottile, con un baratro vertiginoso su entrambi i lati, quando una folata di vento improvvisa e innaturale li investì. Marco vacillò, perdendo l’equilibrio. Sentì la presa di Luca sulla corda allentarsi.
“Luca!” gridò, cercando disperatamente di aggrapparsi al ghiaccio.
Vide l’orrore negli occhi dell’amico, la sua espressione di terrore puro mentre veniva trascinato via da una forza invisibile. La corda si spezzò con uno schiocco agghiacciante.
Marco rimase solo, aggrappato disperatamente alla parete gelida, il vento che gli urlava negli orecchi. Sotto di lui, il silenzio assordante dell’abisso.
Non vide nulla, ma sentiva. Sentiva la presenza, ora più forte, più vicina. Sentiva il suo respiro gelido sul collo, il suo tocco leggero sulla schiena. Sapeva che non era solo. Qualcosa di antico, di malvagio, dimorava su quel monte innevato, e ora lo reclamava come suo.
Con un ultimo gemito di terrore, Marco sentì le dita scivolare dal ghiaccio. Il vento accolse il suo corpo in caduta, portandolo nell’abbraccio freddo e eterno del Monte Silente. I simboli incisi nel ghiaccio sembrarono brillare di una luce sinistra, la montagna che aveva reclamato un’altra anima. E il sussurro continuò, portato dal vento, un lamento gelido che echeggiava tra le vette innevate.